Test Ortomolecolari - il Test
Genetico del DNA |
Tests genetici: ciò che dovreste sapere
Che cosa sono i geni e come si correlano con le
malattie?
I geni sono
segmenti di DNA che si trovano nei cromosomi e controllano la crescita e
contribuiscono a mantenere lo stato di salute. Talvolta quando i geni sono
anomali o dannegiati, possono non lavorare efficacemente ed indurre
mallattie. Alcune anomalie genetiche, o mutazioni geniche, possono
presentarsi in alcune famiglie, mentre altre possono verificarsi solo
occasionalemnte. Talvolta una mutazione può causare una malattia in un
individuo, ma molte patologie sono provocate dalla combinazione di fattori
genetici ed ambientali.
Che cos'è un test genetico?
Un test genetico può aiutare a dimostrare se avete una tendenza ereditaria a
sviluppare una certa malattia, per eseguirlo è normalmente sufficiente un
campione di sangue o di cute.
Cosa significa se un test risulta positivo?
Un test positivo
significa che siete porattori della mutazione ricercata e che siete più
esposti a sviluppare una determinata malattia rispetto al resto della
popolazione, tuttavia ciò non implica che necessariamente dovrete ammalarvi
di tale patologia.
Cosa significa se il test risulta negativo?
Un test negativo
significa che non siete portatori di una determinata mutazione e che questa
non compare nella vostra famiglia. Un risultato negativo non significa che
non contrarrete la malattia, ma che semplicemente siete meno vulnerabili del
resto della popolazione a svilupparla.
Chi dovrebbe sottoporsi ai tests genetici?
Osservando la
vostra storia di familiare, il vostro medico può dirvi a se siete
predisposti ad avere una mutazione del gene che può contribuire alla
malattia. Una malattia potrebbe svilupparsi nella vostra famiglia se un
consanguineo avesse sviluppato la malattia in età giovanile, se parecchi
membri della famiglia hanno la malattia o se la circostanza è rara. Le
persone provenienti da determinati gruppi etnici possono essere più
predisposte a realizzare determinate malattie. Se uno dei vostri membri
della famiglia ha già sviluppato la malattia, quella persona dovrebbe essere
esaminata in primo luogo. Ciò aiuta ad evidenziare quali geni sono associati
con la malattia.
Come posso decidere se sottopormi ai tests?
Se pensate potete
essere all'elevato rischio per una malattia ereditaria, parlatene con il
vostro medico esperto di medicina ortomolecolare e geneticadi fiducia il
quale vi farà delle domande riguardo alla vostra salute ed alla salute dei
vostri parenti consanguinei. Queste informazioni aiuteranno il vostro medico
a scoprire quali potrebbero essere i vostri rischi genetici principali. Le
informazioni che il vostro medico vi fornirà inerenti i vostri rischi
potranno aiutarvi a decidere se sottoporvi agli esami. Ci sono due domande
importanti dovreste porvi prima di sottoporvi ad test genetico:
1. Che vantaggio posso trarre da questo tipo di
test?
Eccovi alcune
ragioni valide in proposito:
Potreste non essere così preoccupati rigaurdo all'idea di contrarre una
malattia;
Potreste essere in grado di cambiare le vostre abitudini di vita al fine di
ridurre il rischio di contrarre la malattia stessa;
Il vostro medico saprà ogni quanto tempo controllarvi per valutare se una
particolare malattia si stesse sviluppando;
Potreste prendere la medicina per prevenire la malattia.
2. Ci sono degli effetti negativi se ci sottopne ai
tests genetici?
Qui sono alcune
ragioni per le quali potreste non desiderare di sapere che potreste
sviluppare il rischio per una determinata malattia:
Il test potrebbe preoccuparvi di ammalarvi;
Il test potrebbe stressarvi, facendovi sentire colpevoli o esasperare i
vostri rapporti familiari;
Il test potrebbe
generare eventuali problemi con il datore di lavoro o con le assicurazioni.
Il test Genetico
Il test si basa sull’analisi di 50 polimorfismi genetici, localizzati su 36
geni, che esercitano un importante ruolo nei processi di detossificazione,
nel processo infiammatorio, nell’attività antiossidante, nella sensibilità
all’insulina, nello stato di salute del cuore e delle ossa.
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Elenco dei geni investigati e delle varianti genetiche
studiate:
Gene
analizzato |
Varianti genetiche studiate |
Ruolo
del gene nell’insorgenza delle patologie cardiovascolari
|
APOA1
|
-75
G>A |
METABOLISMO DEI LIPIDI |
Apo B
|
R3500Q |
APOC3
|
C3175G |
T3206G |
APO E
|
Cys112Arg
|
Arg158Cys
|
CETP |
G279A
|
G1533A |
GJA4
(CX37) |
Pro319Ser |
HMGCR |
-911 C-A
|
LPL |
C1595G
|
MMP3 |
-1171 5A>6A
|
NOS3 |
-786 T>C
|
Glu298Asp |
VNTR introne 4
|
PON1 |
Gln192Arg |
SREBF2 |
Gly595Ala |
ADRA2B
|
Ins>Del
Codon 299 |
METABOLISMO E OBESITA’ |
ADRB1 |
Gly389Arg
|
ADRB2 |
Gly16Arg
|
Gln27Glu
|
ADRB3 |
Trp64Arg |
NPY
|
Leu7Pro |
PPARG
|
Pro12Ala |
CBS |
C699T
|
Metabolismo dell’Omocisteina
|
T1080C
|
MTHFR |
C677T
|
A1298C
|
MTR |
A2756G
|
MTRR |
A66G
|
ACT |
-51 G-T
|
Risposta
infiammatoria |
IL-1B |
-511 C-T
|
IL-6
|
G-634C
|
G-174C
|
IL-10
|
G-1082°
|
TNFα
|
-308 G-A
|
MnSOD |
C(-28)T |
Attività
antiossidante E DETOSSIFICAZIONE
|
T175C |
SOD3 |
C760G |
GSTP1
|
I105V |
A114V |
GSTM1
|
delezione del gene |
GSTT1
|
delezione del gene |
VDR |
Fok1
(ATG ®ACG
codon 1) |
metabolismo osseo e osteoporosi
|
BsmI (A-G introne 8)
|
TaqI (T-C esone 9)
|
COLIA1 |
Intr. 1 2046 G-T |
CTR |
Pro463Leu |
ESR1 |
PvuII
(IVS1-397 T/C)
|
XbaI (IVS1-351 A/G)
|
LA NUTRIGENETICA
Le scoperte più
recenti sul genoma umano ci forniscono gli strumenti e le basi per
comprendere i meccanismi molecolari attraverso i quali singoli geni, o loro
combinazioni, rispondono ai cambiamenti nella dieta e nello stile di vita
(esposizione al fumo di sigaretta, consumo di alcol ecc.), rendendo un
individuo particolarmente sensibile a contrarre un certo tipo di patologia e
di far luce sui meccanismi tramite i quali la dieta, influenzando
l’espressione genica, può esercitare un effetto protettivo. In definitiva le
potenzialità offerte da questo nuovo approccio ci introducono in una nuova
era della scienza della nutrizione, la nutrigenetica.
La nutrigenetica riguarda l’identificazione delle variazioni genetiche
nell’uomo che causano differenze nella risposta fenotipica alle molecole
introdotte con la dieta, con l’obiettivo di valutare i rischi e i benefici
per l’individuo di determinate componenti della dieta. In termini pratici,
con la nutrigenetica è possibile sviluppare una nutrizione personalizzata
alla costituzione genetica dell’individuo, tenendo conto della variabilità
dei geni coinvolti nel metabolismo del nutriente e del suo bersaglio.
La nutrigenetica può avvalersi di potenti strumenti in grado di fornire
informazioni specifiche, individuali e precoci, rispetto ai tradizionali
sistemi diagnostici, sul ruolo preventivo svolto dai nutrienti. Sono state
messe a punto tecniche bio-molecolari per caratterizzare i geni e chiarire
le interazioni tra questi e i nutrienti.
Le basi concettuali di questa nuova branca possono essere riassunte nei
seguenti punti:
-
i composti
introdotti con la dieta possono esercitare a livello del genoma umano
effetti diretti o indiretti, alterando l’espressione e/o la struttura
dei geni;
-
la dieta può
rappresentare un fattore di rischio o uno strumento di prevenzione per
le patologie degenerative;
-
il grado in
cui la dieta può influenzare il bilancio salute/malattia dipende dal
corredo genetico di ciascun individuo;
-
un intervento
nutrizionale basato sulla conoscenza del genotipo e dello stato di
nutrizione dell’individuo può essere usato per prevenire o curare le
patologie.
LA MEDICINA PREDITTIVA
Il progetto
genoma umano ha consegnato alla comunità scientifica internazionale una
sequenza genetica di tre miliardi di paia di basi condivisa al 99,9% da
tutti gli individui. Le differenze fra individui sono costituite per la
maggior parte da polimorfismi nucleotidici, ovvero cambiamenti di una
singola base nel DNA.
In campo medico, le nuove conoscenze sul Genoma Umano hanno permesso il
consolidarsi di una nuova dimensione molecolare della medicina, in
particolare di un settore definito come “Medicina Predittiva”, ovvero una
medicina, che basandosi sulle informazioni ricavabili dalla costituzione
genetica di un individuo, possa anticipare una stima del rischio di
quest’ultimo di sviluppare una determinata patologia durante il corso della
vita.
L’interesse per la componente genetica della suscettibilità a malattie
complesse sta assumendo sempre più importanza nella medicina moderna, in
quanto si sta mettendo in evidenza il ruolo di alcuni polimorfismi genetici
relativamente comuni, ma che se associati tra loro e combinati con
specifiche componenti ambientali, possono elevare notevolmente il rischio di
sviluppare patologie diffuse nella società industriale.
LA NUTRIZIONE PERSONALIZZATA
Con la
nutrigenetica, il concetto di medicina «personalizzata» viene esteso
all’area della nutrizione. Se volete approfondire la vostra componente
genetica esistono dei tests mirati che possono foirniurvi preziose ed uniche
(le vostre) chiavi di lettura per comprendere se ilo vostro corpo alla
stregua di un’autovettura deve essere rifornito con combustile, a benzina,
gasolo o GPL…. La variabilità genetica individuale ci pone comparativamente
a considerare l’organismo come un puzzle irrisolto, del quale si stanno
cominciando a decifrare i programmi di utilizzo codificati nei geni stessi
che come hard disk contengono miriadi d’indformazioni che è necessario
conoscere per poter garantire una perfetta operatività,determinando come i
nutrienti vengono assimilati, metabolizzati, accumulati e in fine escreti, è
alla base della peculiarità di ciascuno nel rispondere alle molecole
introdotte nell’organismo e, in generale, agli stili alimentari e di
vita.(per info sui tests delo benessere : www.aimo.it)
Senza dubbio però la più affascinante delle opportunità che si aprono nel
campo della nutrigenetica è lo sviluppo, partendo dalle differenze genetiche
individuali, di una «nutrizione personalizzata», allo scopo di ottenere una
effettiva terapia dietetica «salutare» in grado di prevenire o ritardare
l’insorgenza di patologie correlate all’alimentazione, per singoli individui
o per particolari sottogruppi.
INTERAZIONE GENE-DIETA
Il concetto che
le conoscenze sulle richieste nutrizionali, lo stato di nutrizione e il
genotipo di un individuo o di un sottogruppo di popolazione possano essere
usate per la prevenzione e la cura di alcune patologie risulta di facile e
immediata comprensione per quanto riguarda situazioni come le carenze
nutrizionali, ma certamente meno ovvio per un gruppo di circa 50 malattie
genetiche umane causate dalla presenza di varianti in geni che codificano
per enzimi coinvolti in specifiche vie metaboliche. Ciascuno dei nostri geni
possiede circa 10 differenze nel suo «codice» rispetto al «gene standard»,
queste deviazioni vengono chiamate «polimorfismi » (SNPs= single gene
polymorphisms) e le varianti che ne conseguono «alleli». È ovvio che, vista
la relativa alta frequenza con cui tali mutazioni ricorrono nel genoma, non
tutti i polimorfismi causano gravi implicazioni per la salute, la maggior
parte di essi esibisce invece solo un lieve effetto sulla funzionalità della
proteina per cui codifica. Le differenze individuali che ne risultano
possono spiegare perché non tutti reagiamo in modo identico alle varie
sollecitazioni e la nutrigenomica descrive appunto i cambiamenti
nell’espressione genica in seguito a uno specifico intervento nutrizionale.
Le molecole che introduciamo con la dieta possono modulare aspetti specifici
della fisiologia cellulare, agendo da ligandi per i recettori dei fattori di
trascrizione, alterando le concentrazioni di substrati e metaboliti e,
tramite interazioni a livello degli acidi nucleici, influenzando specifiche
vie di traduzione del segnale.
METABOLISMO DEI LIPIDI
I graasi o lipidi
sono i più studiati determinanti delle malattie cardiovascolari e la
comprensione dei meccanismi molecolari alla base dei disordini del
metabolismo lipidico è di grande importanza per la prevenzione delle
malattie cardiovascolari.
I geni coinvolti nella regolazione del metabolismo lipidico finora
identificati sono numerosissimi e l’elenco non è ancora completo. Inoltre è
noto che l’omeostasi del metabolismo lipidico è regolata anche da diversi
fattori ambientali non genetici come abitudine al fumo di sigaretta, consumo
di alcool, composizione della dieta e attività fisica.
Sebbene allo stato attuale delle conoscenze non sia possibile stabilire con
precisione il contributo dei fattori genetici e dei fattori ambientali nella
etiologia delle dislipidemie, tuttavia sono molto rari i casi in cui una
dislipidemia si manifesti per effetto di una alterazione genetica in assenza
di un contesto ambientale predisponente, e anche in questi casi i fattori
ambientali sono comunque in grado di modulare la severità del disordine
metabolico e di influenzare l’età in cui questo si manifesta.
Sotto il profilo della salute pubblica la nutrizione è il fattore ambientale
più importante che interagisce con i nostri geni nel modulare la comparsa di
disordini del metabolismo lipidico. È noto che la concentrazione dei lipidi
plasmatici è molto influenzata dal contenuto di grassi saturi della dieta e
che a livello di popolazione le concentrazioni medie di colesterolo sono più
elevate in quei paesi che consumano diete ricche di grassi saturi e più
basse nei paesi con diete povere di grassi e ricche di vegetali e fibre.
Tuttavia a livello dell’individuo la variazione dei lipidi plasmatici in
risposta a modifiche dietetiche è variabile, alcuni soggetti rispondono
molto bene, mentre altri sono relativamente insensibili. In alcuni casi,
livelli alti di colesterolo sono stati osservati in correlazione a
specifiche mutazioni geniche e le persone che portano tali mutazioni
rappresentano soggetti ad alto rischio di patologie cardiovascolari.
Apolipoproteina A1 (APOA1): polimorfismo -75 G>A
L’apolipoproteina
A1 (APOA1) costituisce il maggiore componente proteico delle lipoproteine ad
alta densità (HDL, il cosiddetto colesterolo buono). Poiché APOA1 esercita
un ruolo importante nel trasporto inverso del colesterolo, bassi livelli
sierici di APOA1/HDL rappresentano un ben conosciuto fattore di rischio di
patologie delle arterie coronariche (CAD). Un frequente polimorfismo del
gene APOA1 localizzatio nella regione promotore, -75G>A, modula
l’espressione dell’apolipoproteina A1. Importanti interazioni tra questo
polimorfismo, abitudini dietetiche e livelli di HDL sono ben conosciute. I
portatori della variante allelica del polimorfismo -75G>A, possono aumentare
il loro livello sierico di HDL in risposta ad una maggiore assunzione con la
dieta di acidi grassi insaturi. Jeenah (1990) Mol Biol Med 7, 233
Apolipoproteina B (Apo B): mutazione R3500Q
Le apolipoproteine sono delle proteine appartenenti ai complessi VLDL e LDL
(Very Low Density Lipoproteins e Low Density Lipoproteins) e sono
responsabili della solubilità dei lipidi nel sangue e del loro
riassorbimento nelle cellule. In particolare, l’apolipoproteina B-100 (Apo
B-100) è necessaria per la solubilità e il riassorbimento del colesterolo.
Il complesso Apo B-100-colesterolo viene riconosciuto dai recettori di
membrana LDL e quindi riassorbito nelle cellule. Il gene che codifica l’Apo
B-100 è soggetto a polimorfismi di cui, il più frequente (R3500Q), provoca
una diminuzione dell’affinità del legame Apo B-100-“recettore LDL di
membrana”. L’ Apo B-100 mutata resta libera nel sangue, causando un’ipercolesterolemia
ed un aumento del rischio di formazione di placche ostruttive. Inoltre la
mutazione di questa proteina è un importante fattore di rischio per lo
sviluppo dell’arteriosclerosi precoce e delle deficienze coronariche
arteriose (coronary artery disease, CAD). È stato dimostrato che il 3.5% dei
casi di ipercolesterolemia ha come causa primaria una mutazione sul gene
dell’Apo B-100. Questo tipo di mutazione è conosciuta clinicamente anche
come Familial Defective apolipoprotein B-100 (FDB). Studi su pazienti con
FDB hanno dimostrato che il loro livello di colesterolo è mediamente di 8
mmol/l, mentre il valore normale è minore di 5.2 mmol/l.
La mutazione di questo gene, che si trova sul cromosoma 2, provoca nella
proteina una sostituzione dell’aminoacido Arginina con una Glutamina in
posizione 3500 (R3500Q); questo scambio fra aminoacidi ha come conseguenza
un cambiamento della conformazione della struttura terziaria dell’ Apo
B-100, nella zona di riconoscimento per il recettore LDL. La diminuzione di
affinità fra Apo B-100 e recettore LDL può essere superiore al 20% nei
pazienti omozigoti. La prevalenza di questa mutazione nella popolazione
caucasica varia da 1:700 a 1:500. Soria (1989) Proc Natl Acad Sci U S A 86,
587
Apolipoproteina C3 (APOC3): polimorfismi C3175G e T3206G
L'Apolipoproteina C3 (APOC3) esercita un ruolo importante nel metabolismo
dei lipidi, inibendo il metabolismo del triacil-glicerolo ad opera
dell'enzima lipoproteina-lipasi, con conseguente incremento del livello di
trigliceridi (ipertrigliceridemia). I polimorfismi C3175G e T3206G del gene
APOC3 sono associati ad un rischio 4 volte superiore di ipertrigliceridemia
e ad un elevato rischio di insorgenza di infarti, arteriosclerosi e
patologie cardiovascolari. (Newman (2004) Eur J Hum Genet 12, 584; Xu CF et
al (1994) Clin Genet. 46:385-97).
Apolipoproteina E (APO E): genotipizzazione alleli
E2, E3, E4
Il gene APOE, è
situato sul cromosoma 19 e codifica per l’ apolipoproteina E (APOE), una
proteina plasmatica, coinvolta nel trasporto del colesterolo, che si lega
alla proteina amiloide. Sono presenti tre isoforme (conformazioni
strutturali diverse della stessa proteina) di ApoE: Apoε2, Apoε3 e Apoε4,
che modulano l’impatto della dieta sulla concentrazione dei lipidi
plasmatici. Tali isoforme sono i prodotti di 3 forme alleliche diverse (ε2,
ε3, ε4), determinate dal cambiamento dell’amminoacido in due diverse
posizioni (varianti Cys112Arg e Arg158Cys).
Le apolipoproteine svolgono un ruolo fondamentale nel catabolismo delle
lipoproteine ricche di trigliceridi e colesterolo. L’APOE viene sintetizzata
principalmente nel fegato ed ha la funzione di trasportatore lipidico. E’
noto da tempo che elevati livelli di colesterolo costituiscono uno dei
maggiori fattori di rischio per le malattie cardiovascolari. In particolare
non solo il livello di colesterolo totale ma anche il livelli relativi di
HDL, LDL e trigliceridi rivestono notevole importanza nella patogenesi delle
malattie vascolari. L’APOE è stato uno dei primi marcatori genetici ad
essere studiati come fattore di rischio per l’infarto del miocardio. Studi
effettuati su una ampia popolazione di pazienti con infarto del miocardio e
relativo gruppo di controllo hanno confermato dati già presenti in
letteratura dove l’allele ε4 dell’APOE (APOE4) era stato considerato un
fattore di rischio genetico per le malattie cardiovascolari. I portatori
dell’allele 4 presentano infatti livelli più elevati di colesterolo totale e
LDL, in presenza di un’alimentazione ricca in colesterolo, e quindi hanno un
rischio maggiore di sviluppare patologie cardiovascolari. Tuttavia questi
soggetti sono anche quelli che rispondono meglio quando sottoposti a diete
con ridotto contenuto di grassi, mentre i portatori delle varianti ApoE2 e 3
presentano risposte variabili. Weisgraber, 1981, J. Biol. Chem. 256:
9077-9083; Rall, 1982, Proc. Nat. Acad. Sci. 79: 4696-4700; Das, 1985, J.
Biol. Chem. 260: 6240-6247; Paik, 1985, Proc. Nat. Acad. Sci. 82: 3445-3449.
Cholesterol ester transfer protein (CETP):
polimorfismi G279A e G1533A
Il CETP è
coinvolto nel metabolismo dei lipidi, mediando lo scambio di lipidi tra
lipoproteine mediante il trasferimento di esteri del colesterolo dalle HDL
alle lipoproteine ricche di trigliceridi, con conseguente riduzione dei
livelli di HDL. Il polimorfismo dell’introne 1 del gene CETP G279A aumenta
le concentrazioni del CETP e riduce i livelli di HDL a favore di LDL e VLDL.
Un altro polimorfismo, G1533A, localizzato nell’esone 15 del gene CETP, che
determina la variazione aminoacidica Arg->Gln a livello del codone 451, è
anch’esso associato ad una aumentata attività plasmatici della CETP. Ridotti
livelli di HDL sono associati ad un rischio aumentato di patologie
cardiovascolari. Freeman et al.(1990), Clin Sci.;79:575-581; Kakko et al.
(1998) Atherosclerosis. 136(2):233-40
GAP JUNCTION PROTEIN ALPHA 4 (CONNESSINA 37):
variante Pro319Ser
La Connesina 37
(CX37) costituisce un importante fattore molecolare coinvolto nello sviluppo
dei vasi arteriosclerotici. La CX37 è espressa nelle cellule endoteliali ed
è codificata dal gene GJA4. Una variante aminoacidica a livello del codone
319 (Pro319Ser) di tale gene costituisce un marker prognostico per lo
sviluppo di placche arteriosclerotiche ed un marker di rischio genetico per
l’arteriosclerosi. Boerma (1999) J Intern Med. Aug;246(2):211-8.
Idrossi-metil-glutaril-coenzima A reduttasi (HMGCR):
polimorfismo -911 C-A
L’
idrossi-metil-glutaril-coenzima A reduttasi (HMGCR) è un gene che codifica
per l’omonima proteina. Questa è un enzima fondamentale per la sintesi del
colesterolo. Si è gia ricordato precedentemente che elevati livelli di
colesterolo sono un fattore di rischio per le malattie cardiovascolari,
poiché predispongono alla formazione delle lesioni aterosclerotiche. È
interessante notare che data la sua posizione strategica nella catena
biosintetica che porta alla sintesi di colesterolo, l’HMGCR è anche il
target farmacologico delle statine, una famiglia di farmaci che agisce
abbassando i livelli di colesterolo. Questo effetto viene ottenuto inibendo
l’azione enzimatica svolta dall’HMGCR. Sulla base di queste osservazioni è
stato studiato un polimorfismo nella regione promotrice del gene HMGCR in
posizione -911 che consiste nella sostituzione di una C (citosina) con una A
(adenina). Questo polimorfismo è stato studiato in una ampia coorte di
pazienti con infarto del miocardio e relativo gruppo di controllo. Il
polimorfismo è risultato essere associato ad un aumentato rischio di
sviluppare l’infarto del miocardio. In particolare la presenza dell’A nel
polimorfismo dell’HMGCR risultava associato all’infarto in età giovanile.
Licastro Neurobiol Aging. 2006
Lipoproteina lipasi (LPL): polimorfismo C1595G
La lipoproteina
lipasi (LPL) è un enzima coinvolto nel metabolismo dei trigliceridi nelle
lipoproteine circolanti. Questo enzima è sintetizzato dalle cellule del
tessuto adiposo e muscolare e dopo essere secreto è trasportato
sull’endotelio dei capillari, dove interagisce con le lipoproteine ricche in
trigliceridi. L’LPL migliora l’assorbimento delle lipoproteine da parte del
fegato e delle pareti dei vasi sanguigni.
Il polimorfismo C1595G sembra avere un ruolo benefico in quanto è stato
associato con un rischio diminuito di insorgenza di patologie
cardiovascolari, ridotta pressione arteriosa e bassi livelli di trigliceridi.
(Kobayashi et al., 1992 Biochem Biophys Res Commun. 15;182:70-7)
Metalloproteinasi di matrice 3 (MMP3): polimorfismo
promotore -1171 5A>6A
Le
metalloproteinasi sono una famiglia di enzimi importanti nel processo di
rimodellamento della matrice extracellulare e nell’irrigidimento
età-dipendente delle arterie, e quindi coinvolte nell’eziologia
aterosclerotica e in particolare nell’evoluzione delle placche.
Le placche aterosclerotiche sono costituite da due componenti principali: un
tessuto ricco di lipidi e uno sclerotico ricco di collagene. Le placche
sclerotiche sono da considerarsi meno a rischio in quanto sono le più
stabili; al contrario la componente “molle” ateromatosa dà instabilità alla
placca e la rende più friabile e quindi più a rischio d’eventi trombotici.
In questi meccanismi è stato ampiamente dimostrato il ruolo delle
Metalloproteinasi, in quanto enzimi deputati alla riorganizzazione delle
placche stesse.
Recentemente, nella zona del promotore (in posizione -1171)del gene MMP3, un
membro della famiglia delle MMP, è stato individuato un polimorfismo (5A>6A)
che influenza l’attività enzimatica di MMP3. L’allele 5A determina una
maggiore attività ed è stato associato con un rischio maggiore di infarto al
miocardio, mentre l’allele 6A determina una ridotta attività dell’enzima e
costituisce un marker di rischio per la stenosi arteriosa. Per questo
polimorfimo, gli esperti suggeriscono che il genotipo ottimale sia una
eterozigoti per gli alleli (5A/6A). Ye (1996) J Biol Chem271(22):13055-60
Ossido sintetasi endoteliale (eNOS): polimorfismi
-786 T>C, Glu298Asp e VNTR introne 4
Nel sistema
vascolare, l’ossido nitrico (NO) esercita un ruolo importante producendo
vasodilatazione, regolando il flusso sanguigno e la pressione arteriosa, e
conferendo tromboresistenza e proprietà protettive all’endotelio dei vasi
sanguigni. La vasodilatazione endotelio-dipendente è mediata dal rilascio di
NO prodotto dall’ossido sintetasi endoteliale (eNOS). Una ridotta sintesi di
NO o nella sua minore bio-disponibilità potrebbe essere la causa della
ridotta vasodilatazione endotelio-dipendente che si osserva nei vasi
sanguigni di soggetti fattori di rischio cardiovascolari, quali fumatori
attivi e passivi, pazienti con ipertensione o ipercolesterolemia. La
mancanza di effetti NO-mediati può inoltre predisporre allo sviluppo di
arteriosclerosi.
Il polimorfismo -786 T>C della regione promotore del gene codificante ossido
sintetasi endoteliale (NOS3) riduce la sintesi di NO endoteliale, suggerendo
che i portatori di tale variazione nucleotidica sono predisposti
all’insorgenza di patologie coronariche. Ma l’indicazione più importante è
data dal fatto che questa riduzione è esacerbata dal fumo di sigaretta.
La variante missense Glu298Asp, presente a livello dell’esone 7 del gene
NOS3, agirebbe in sinergia con il polimorfismo della regione promotore,
aumentando ulteriormente il rischio di patologie coronariche.
Un raro polimorfismo VNTR localizzato a livello dell’introne 4 del gene NOS3
(Ins>Del Introne 4) rappresenta un fattore di rischio di infarto al
miocardio (MI). La frequenza di questa variante si è mostrata
significativamente più elevata (di circa 7 volte) in pazienti con MI senza
conosciuti fattori di rischio secondari. Questa variante è stata inoltre
associata con stenosi arteriosa, specialmente in associazione con il
tradizionale fattore di rischio del fumo di sigaretta. Yoshimura (1998) Hum
Genet 103, 65; Nakayama (1999) Circulation 99, 2864; Wang (1996) Nat Med;2:41-45.
PARAOXONASI 1 (PON1): polimorfismo Gln192Arg
La Paraoxonasi è
una glicoproteina calcio-dipendente, che circola nelle lipoproteine ad alta
densità (HDL), in grado di prevenire la perossidazione delle lipoproteine a
bassa densità (LDL) e di contrastare pertanto il processo ateromasico. Il
gene PON1, codificante tale proteina, appartiene ad una famiglia multigenica
insieme ad altri due geni PON-simili, denominati PON2 e PON3, tutti
localizzati sul braccio lungo del cromosoma 7. Sono noti diversi
polimorfismi del cluster dei geni PON: il polimorfismo Gln192Arg nel gene
PON1; è stato associato a rischio cardiovascolare, in quanto favorenti il
processo aterosclerotico. Ranade (2005) Stroke. 36(11):2346-50.
STEROL REGULATORY ELEMENT BINDING TRANSCRIPTION
FACTOR 2 (SREBF2): polimorfismo Gly595Ala
La famiglia delle
SREBP ha un ruolo importante nella regolazione del metabolismo cellulare del
colesterolo e degli acidi grassi. Un membro di questa famiglia, il SREBF2,
esercita un ruolo chiave nell’omeostasi del colesterolo, attivando
l’assorbimento di colesterolo plasmatici mediato dal recettore dell’LDL. Un
polimorfismo SNP del gene SREBF2, Gly595Ala, che causa una variazione
aminoacidica Gly>Ala a livello del codone 595, è associato ad
ipercolesterolemia. Durst (2006) Atherosclerosis. Dec;189(2):443-50.
METABOLISMO E OBESITA’
L’obesità è una
malattia complessa dovuta a fattori genetici, ambientali ed individuali con
conseguente alterazione del bilancio energetico ed accumulo eccessivo di
tessuto adiposo nell’organismo. Studi su famiglie hanno sempre sostenuto
l’ipotesi di un’influenza genetica, responsabile delle cosiddette anomalie
metaboliche che faciliterebbero l’insorgenza dell’obesità in presenza di
alta disponibilità di alimenti e cronico sedentarismo. L’obesità rappresenta
un importante fattore di rischio per l’insorgenza di malattie
cardiovascolari.
Recettore adrenergico alfa 2B: mutazione Ins>Del
Codon 299
I recettori
adrenergici alfa2 influenzano il metabolismo energetico attraverso
l’inibizione della secrezione di insulina e la lipolisi. Il gene codificate
per il recettore adrenergico Alfa2B (ADRA2B) presenta un polimorfismo Ins>Del
Codon 299. La variante Del Codon 299 è molto comune nei caucasici (circa il
31%) ed è stata associate in vivo con una ridotta dilatazione delle arterie
brachiali e con un ridotto flusso delle arterie coronariche. Inoltre si
pensa che tale variante incida sul metabolismo basale e contribuisca
all’obesità. Heinonen (1999) J Clin Endocrinol Metab. 84(7):2429-33
Recettore adrenergico Beta 1 (ADRB1): polimorfismo
Gly389Arg
I recettori
adrenergici beta 1 sono i principali recettori cardiaci per Nor-Epinefrina
ed Epinefrina, che rappresentano il più importante meccanismo mediante il
quale il flusso sanguigno è aumentato ad opera del sistema nervoso
simpatico. Il gene ADRB1, codificante per il recettore adrenergico B1.
presenta un polimorfismo, Gly389Arg, consistente nella variazione
aminoacidica Gly – Arg a livello del codone 389. La variante Arg389 è
associate ad una migliore funzione recettoriale. Tale variante sembra
predisporre ad infarto ed influenzare la risposta terapeutica al trattamento
con Beta bloccanti. La variante Arg389 è inoltre associata ad ipertensione.
Mason 1999 J Biol Chem. Apr 30;274(18):12670-4; Iwai C, Am Heart J. 2003 Jul;146(1):106-9
Recettore adrenergico Beta 2 (ADRB2): polimorfismi
Gly16Arg e Gln27Glu
L’allele Arg16
del gene ADRB2 determina un miglioramento della sensibilizzazione del
recettore ed è stato associato ad ipertensione. La contemporanea presenza
delle varianti Arg16-Gln27 dell’ ADRB2 comporta una ridotta vasodilatazione
mediata dal recettore adrenergico Beta 2. La variante Glu27 è associata ad
un incremento dell’attività del recettore, con conseguente obesità e
patologie metaboliche. Large 1997 J Clin Invest.100(12):3005-13.
Recettore adrenergico Beta 3 (ADRB3): polimorfismo
Trp64Arg
Sulla base del
suo ruolo biologico nel metabolismo dei lipidi, si pensa che il recettore
adrenergico Beta 3 sia uno dei geni che influenza l’accumulo del grasso nel
corpo. Una mutazione missense a livello del codone 64 del gene ADRB3 è stata
associata con un aumento del body mass index (BMI). Kadowaki 1995 Biochem
Biophys Res Commun. 215:555-60.
NEUROPEPTIDE Y: polimorfismo Leu7Pro
Il Neuropeptide Y
(NPY) esercita un ruolo importante nella regolazione del bilanciamento
energetico, mediando la stimolazione all’assunzione di cibo e l’accumulo
energetico. Tra le molteplici azioni del NPY vengono anche ricompresse
vasocostrizione, regolazione della pressione sanguigna, metabolismo del
colesterolo e patogenesi dell’arteriosclerosi.
Un raro polimorfismo del gene codificante per NPY, Leu7Pro, è stato
associato ad elevate quantità di colesterolo totale e LDL, specialmente nei
pazienti con obesità. Tale polimorfismo, inoltre, è un marker per il rischio
di ipertensione ed arteriosclerosi. Karvonen 1998 Nat Med. Dec;4(12):1434-7.
Recettore attivato dai proliferatori dei
perossisomi - gamma (PPARG): polimorfismo Pro12Ala
PPAR-gamma (PPARG)
è un recettore che notoriamente svolge un ruolo importante nella
stimolazione del processo naturale del corpo alla base della regolazione del
metabolismo lipidico e dei carboidrati, aumentando la sensibilità
all’insulina. L’elevata pressione arteriosa, le anomalie lipidiche, la
resistenza all’insulina e l’obesità centrale sono le componenti principali
della sindrome metabolica, che comunemente prelude alla patologia
cardiovascolare ed al diabete di tipo 2. La caratteristica della sindrome
metabolica è quella di riunire i maggiori fattori di rischio cardiovascolare
compreso l’obesità centrale, la resistenza all’insulina, la pressione
arteriosa elevata e le anomalie dei lipidi nel sangue. Quasi un quarto della
popolazione mondiale è affetto da sindrome metabolica. Fino ad un massimo
dell’80% dei quasi 200 milioni di adulti nel mondo colpiti da diabete
decedono a causa di patologie cardiovascolari. Le persone affette da
sindrome metabolica sono maggiormente a rischio rispetto alle altre in
quanto hanno il doppio delle probabilità di morire per attacco cardiaco ed
il triplo delle probabilità di morire per ictus.
Alcuni studi supportano un ruolo benefico del polimorfismo Pro12Ala, che è
associato con una ridotta trascrizione del gene PPARgamma2. Tale
polimorfismo, inoltre, è associato con una diminuzione del body mass index (BMI),
riduzione dei livelli di insulina, aumento dei livelli di HDL e migliorata
sensibilità all’insulina. Quindi, il polimorfismo Pro12Ala diminuisce il
rischio diabete mellito di tipo II.
METABOLISMO DELL’OMOCISTEINA
Negli ultimi anni
si vanno accumulando sempre maggiori evidenze scientifiche su come livelli
clinicamente aumentati di omocisteina rappresentino un nuovo fattore
indipendente di rischio cardiovascolare che si può affiancare agli altri
fattori di rischio tradizionali o che può potenziarne gli effetti deleteri
sulla parete arteriosa. Il fumo di sigaretta e l’apporto dietetico di folati
e vitamina B12 sono tra i principali determinanti delle concentrazioni
plasmatiche di omocisteina. L’omocisteina sembrerebbe indurre il danno
vascolare interferendo con la produzione di acido nitrico da parte
dell’endotelio, determinando iperplasia delle cellule muscolari lisce e
aumentando la produzione di radicali liberi con conseguente danno ossidativo
e perossidazione lipidica (così favorendo la formazione della placca
aterosclerotica), nonché interferendo con la funzione piastrinica e
incrementando la tendenza alla trombosi. L’iperomocisteinemia riveste,
inoltre, importanti implicazioni nella riproduzione umana connesse al
momento concezionale (aborti ripetuti), allo stato gravidico (patologie
vasculodipendenti quali preeclampsia, difetto di crescita fetale, distacco
di placenta) e alla menopausa.
Cistationina Beta Sintetasi (CBS): polimorfismi C699T e T1080C
La CBS è un enzima necessario per convertire l’omocisteina in Cistatione.
Tale enzima riduce i livelli di omocisteina. E’ stato dimostrato che due
polimorfismi del gene CBS (C699T e T1080C) determinano un aumento
dell’attività dell’enzima, riducendo la quantità di omocisteina nel sangue.
Tali polimorfismi sono associati con un rischio ridotto di insorgenza di
patologie coronariche.
MTHFR (Metilentetraidrofolatoreduttasi):
polimorfismi C677T e A1298C
La
metilentetraidrofolatoreduttasi (MTHFR) è un enzima coinvolto nella
trasformazione del 5-10 metilentetraidrofolato in 5 metiltetraidrofolato che
serve come donatore di metili per la rimetilazione della omocisteina a
metionina tramite l'intervento della vitamina B12.
Rare mutazioni (
trasmesse con modalità autosomica recessiva) possono causare la deficienza
grave di MTHFR con attività enzimatica inferiore al 20% e comparsa di
omocisteinemia ed omocistinuria e bassi livelli plasmatici di acido folico.
La sintomatologia clinica è grave con ritardo dello sviluppo psico-motorio e
massivi fenomeni trombotici.
Accanto alla deficienza grave di MTHFR è stato identificato un polimorfismo
genetico comune, dovuto alla sostituzione di una C (citosina) in T (timina)
al nucleotide 677 (C677T), che causa una sostituzione di una alanina in
valina nella proteina finale ed una riduzione dell'attività enzimatica della
MTHFR pari al 50% ,fino al 30% in condizioni di esposizione al calore
(variante termolabile).Tale variante comporta livelli elevati nel sangue di
omocisteina specie dopo carico orale di metionina. Questo polimorfismo,
tuttavia, non ha conseguenze sui livelli di omocisteina se il contenuto di
folati della dieta è elevato, ma si associa a iperomocisteinemia se il
contenuto di acido folico della dieta è scarso. Allo stesso modo i soggetti
portatori della variante 677CT sono anche quelli che rispondono meglio
quando sottoposti a una supplementazione della dieta con folati.
La frequenza genica in Europa della mutazione è del 3-3,7% che comporta una
condizione di eterozigosi in circa il 42-46% della popolazione e di
omozigosi pari al 12-13%. Recentemente, una seconda mutazione del gene MTHFR
(A1298C) è stata associata ad una ridotta attività enzimatica (circa il 60%
singolarmente; circa il 40% se presente in associazione alla mutazione
C677T). Questa mutazione, in pazienti portatori della mutazione C677T,
determina un'aumento dei livelli ematici di omocisteina.
Livelli aumentati di omocisteina nel sangue sono oggi considerati fattore di
rischio per malattia vascolare, (trombosi arteriosa) forse attraverso un
meccanismo mediato dai gruppi sulfidrilici sulla parete endoteliale dei
vasi. Inoltre in condizioni di carenza alimentare di acido folico la
variante termolabile della MTHFR porta a livelli molto bassi l'acido folico
nel plasma ed è pertanto un fattore di rischio per i difetti del tubo
neurale nelle donne in gravidanza. Frosst et al. (1995) Nature Genet. 10:
111-113; Van der Put et al. (1998) Am. J. Hum. Genet. 62: 1044-1051.
Metionina sintetasi gene (MTR): polimorfismo A2756G
Il gene MTR
codifica per un enzima che è coinvolto nella conversione dell’omocisteina in
metionina. Il polimorfismo A2756G aumenta l’attività di questo enzima,
incidendo sui livelli ematici di folato ed omocisteina. Ridotti livelli di
omocisteina riducono il rischio di insorgenza di patologie cardiovascolari.
Inoltre, è stato dimostrato che la presenza del polimorfismo A2756G
determina una diminuzione delle probabilità di difetti del tubo neurale
durante la gravidanza ed un rischio diminuito di trombosi venosa. Leclerc
(1966) Hum. Molec. Genet. 5: 1867-1874
Metionina sintetasi reduttasi (MS_MTRR):
polimorfismo A66G
La Metionina
sintetasi reduttasi è un enzima necessario per la formazione di un derivato
della vitamina B12. Tale enzima è indispensabile per mantenere un adeguata
quantità di vitamina B12 cellulare, metionina e folato, e per mantenere
bassi i livelli di omocisteina. Il polimorfismo A66G è associato con un
aumento del rischio di malattie cardiovascolari, indipendenti dai livelli di
omocisteina. E’ stato inoltre dimostrato che tale polimorfismo aumenti il
rischio di difetti del tubo neurale, spina bifida e sindrome di Down durante
la gravidanza. Brown (2000) J Cardiovasc Risk 7, 197
RISPOSTA INFIAMMATORIA
È noto da molti
anni che la deposizione di grassi derivati dal colesterolo nella parete dei
vasi induce un’attivazione di cellule normalmente presenti in questa zona
dei vasi denominati macrofagi. Il macrofago dopo ingestione di questo
materiale viene attivato e induce un’anomala risposta infiammatoria nella
parete del vaso che col tempo porta alla formazione della placca
aterosclerotica e alle alterazioni vasali tipiche dell’aterosclerosi. Quindi
componenti e fattori ad attività regolatoria sulla risposta infiammatoria
giocano un ruolo importante nello sviluppo e nella manifestazione clinica
delle complicanza dell’aterosclerosi, quali l’infarto del miocardio.
Interleuchina-1B (IL-1B): polimorfismo -511 C-T
Il gene dell’
interleuchina-1 (IL-1) è situato sul cromosoma 2 dove è presente un
aggregato di geni che codifica sia per l’IL-1b, IL-1a che e per il recettore
di queste due molecole. L’IL-1 è una citochina pluripotente, cioè capace di
svolgere e regolare molte funzioni immunitarie ed è sopratutto coinvolta
nell’attivazione delle risposte infiammatorie. L’IL-1b in particolare viene
anche rilasciata nel torrente circolatorio esercitando ance azioni diffuse
nell’organismo. Infatti, è uno dei fattori capace di indurre febbre, sonno,
anoressia e ipotensione. Questa interleuchina è importante nella patogenesi
dell’infarto del miocardio in quanto stimola macrofagi e cellule endoteliali
a rilasciare il fattore tissutale (TF), potente induttore dei trombi. Il
polimorfismo presente sul promotore dell’IL-1b in posizione -511 consiste
nella sostituzione di una C (citosina) con una T (timina). La presenza dell’allele
T in concomitanza con determinati alleli di altri polimorfismi su altri geni
aumenta il rischio di sviluppare la malattia, pertanto i soggetti portatori
di tale genotipo, soprattuto quando presente insieme ad altri genotipi,
hanno maggiori probabilità di avere l’infarto del miocardio rispetto ai non
portatori. Invece, nei soggetti con polimorfismo IL-1 beta protettivo la
coagulazione del sangue viene indotta in misura molto minore, riducendo in
tal modo la probabilita' di essere esposti al rischio di infarto o di ictus.
Mattila (2002) J Med Genet 39, 400
Interleuchina-6 (IL-6): mutazioni G-634C e G-174C
Il gene dell’
interleuchina-6 (IL-6) è situato sul cromosoma 7 e codifica per l’omonima
proteina. L’IL-6 è una citochina pleiotropica, in grado di svolgere molte
funzioni; generalmente ha azione pro-infiammatoria, quindi induce le
risposte infiammatorie. L’IL-6 è coinvolta nella regolazione della risposta
infiammatoria sia acuta che cronica e nella modulazione delle risposte
immunitarie specifiche. È ormai noto che l’infiammazione ha un ruolo
principale nella patogenesi dell’aterosclerosi poiché le placche
aterosclerotiche e le lesioni associate presentano un infiltrato di cellule
immunitarie attivate e una aumentata sintesi di molecole infiammatorie. A
questo proposito l’IL-6 è stata una delle prime citochine studiate nelle
malattie cardiovascolari in quanto promuove la formazione degli ateromi,
dislipidemia e ipertensione. Vari studi che hanno seguito popolazioni nel
tempo hanno proposto di usare il livello plasmatico di questa proteina come
marcatore predittivo dell’infarto. Infatti è stato osservato che i livelli
ematici della IL-6 aumentavano molto tempo prima della manifestazione
clinica dell’infarto e correlavano con l’incidenza della malattia. Il gene
dell’IL-6 contiene vari polimorfismi fra cui uno presente nel promotore in
posizione -174 che consiste nella sostituzione di una G (guanina) con una C
(citosina), ed un altro presente in posizione -634, anche questo
caratterizzato dalla sostituzione di una G con una C. Da studi condotti su
un gruppo di pazienti con infarto al miocardio e su un gruppo di soggetti
sani senza patologie cardiovascolari è emerso che questi polimorfismi
rappresentano un fattore di rischio per l’infarto. Ovvero i portatori dell’allele
mutato C hanno una probabilità maggiore di essere colpiti da tale patologia
rispetto ai non portatori. Inoltre la presenza di questi alleli correla
anche con maggiori livelli plasmatici di IL-6. Fishman (1998) J Clin Invest
102, 1369.
Interleuchina-10 (IL-10): mutazione G-1082A
L’ interleuchina
10 (IL-10) è un gene situato sul cromosoma 1 e codifica per l’omonima
proteina. È una molecola antinfiammatoria ovvero inibisce il rilascio delle
citochine pro-infiammatorie durante lo sviluppo delle risposte
infiammatorie. Viene secreta dai linfociti T, monociti e macrofagi. Questa
molecola regola le risposte infiammatorie ed ha attività immunosoppressiva.
Dato che la presenza di una risposta infiammatoria mal controllata promuove
le malattie cardiovascolari, l’IL-10, avendo una azione immunosoppressiva,
assume un ruolo importante e protettivo nella patogenesi delle malattie
cardiocircolatorie. Molti studi hanno studiato il polimorfismo presente
nella regione promotore del gene dell’IL-10 in posizione -1082. Tale
polimorfismo consiste nella sostituzione di una G (guanina) con una A (adenina).
È utile ricordare che studi in vitro hanno suggerito che la presenza dell’allele
A è associata ad una minor produzione della molecola di IL-10. E emerso che
la presenza del genotipo AA aumenta il rischio di sviluppare infarto al
miocardio, in altre parole i portatori di tale genotipo hanno un rischio
maggiore di sviluppare patologie cardiovascolari rispetto ai non portatori.
Murakozy (2001) J Mol Med 79, 665.
Fattore di necrosi tumorale alfa (TNFα):
polimorfismo -308 G-A
Il gene fattore
di necrosi tumorale alfa (TNFα) è situato sul cromosoma 6 e codifica per
l’omonima proteina. Il TNFα è una citochina pro-infiammatoria pleiotropica
cioè in grado di svolgere numerose funzione di regolazione sulle risposte
immunitarie. IL TNFα è anche un importante mediatore delle risposte
infiammatorie sia acute che croniche. La concentrazione del TNFα aumenta
durante i danni vascolari prodotti dalla formazione di trombi Questo fattore
promuove le cellule endoteliali danneggiate stimolandole a produrre le
molecole di adesione. Quindi favorendo l’adesione alle cellule endoteliali
il TNFα si comporta come un fattore promuovente l’aterogenesi e il danno
vascolare causa dell’infarto. Il gene del TNFα ha vari siti polimorfici, tra
cui un polimorfismo presente nella regione promotrice del gene in posizione
-308. Questo polimorfismo consiste di una sostituzione di una G (guanina)
con una A (adenina). Studi in vitro hanno messo in evidenza che la presenza
dell’allele A è associata ad una maggiore produzione della molecola stessa.
I nostri studi di fisiopatologia clinica hanno indicato che questo
polimorfismo risultava essere un marcatore per le malattie cardiovascolari.
Analizzando i dati ottenuti genotipizzando un gruppo di pazienti con infarto
al miocardio e relativo gruppo di controllo, si può affermare che questo
genotipo risulta essere un marcatore di rischio di infarto al miocardio.
Herrmann Eur J Clin Invest. 1998 Jan;28(1):59-66.
ATTIVITÀ ANTIOSSIDANTE E DETOSSIFICAZIONE
L’attività
antiossidante aiuta a combattere i danni causati dai radicali liberi, (RL)
che rappresentano lo scarto delle reazioni del metabolismo umano. I RL sono
praticamente il prodotto della biotrasformazione metabolica che il nostro
organismo pratica attraverso l'elaborazione degli alimenti che
quotidianamente mangiamo. Tali molecole RL sono altamente reattive e possono
indurre un invecchiamento precoce dei tessuti, dalla pelle agli organi
interni, delle vene e arterie, malattie cardiovascolari come ictus e infarto
cardiaco, fino a malattie altamente degenerative come alcuni tipi di tumore.
Alcuni polimorfismi presenti in geni specifici possono alterare la
produzione e la funzione degli enzimi antiossidanti.
Superossido dismutasi manganese dipendente (MnSOD):
polimorfismi C(-28)T e T175C
La superossido
dismutasi manganese dipendente (MnSOD), un enzima antiossidante
mitocondriale che catalizza la conversione dei radicali superossido in
idrogeno perossido. L’ MnSOD è codificata dal gene SOD2 localizzato al locus
6q25. Il gene presenta due polimorfismi, C(-28)T e T175C: il polimorfismo
C(-28)T influenza la distribuzione intracellulare dell’enzima, prevenendo
l’ingresso di quest’ultimo all’interno dei mitocondri. Tale polimorfismo è
stato associato ad un rischio maggiore di sviluppo di alcune patologie, in
particolare quelle cardiovascolari. Tuttavia è l’assenza del polimorfismo, e
non la sua presenza, a favorire lo sviluppo di tali patologie. L’effetto
favorevole della presenza di tale polimorfismo è dovuto al fatto che
l’enzima rimane funzionale, ma distribuito all’interno della cellula invece
che essere concentrato nei mitocondri. Il rischio di insorgenza delle
suddette patologie diminuisce con una maggiore introduzione con la dieta di
cibi ricchi di antiossidanti. Il polimorfismo T175C, invece, riduce la
stabilità dell’enzima attivo di circa 3 volte.
Superossido Dismutasi (SOD3): polimorfismo C760G
Il SOD3 è il
principale enzima antiossidante delle pareti dei vasi sanguigni. I livelli
più elevati di SOD3 sono riscontrati nel cuore, nella placenta, nel pancreas
e nei polmoni. Moderati livelli di SOD3 sono anche riscontrabili nei reni,
muscoli e fegato. E’ stato dimostrato che il polimorfismo C760G determina il
rilascio dell’enzima SOD3 dalle pareti dei vasi nel sangue ed è associate ad
una riduzione dell’attività antiossidante tissutale. Ciò può contribuire
allo sviluppo di patologie coronariche. Sandstrom, 1994, J. Biol. Chem. 269:
19163-19166
Glutatione
S-transferasi
Le glutatione S-transferasi (GSTs) sono una famiglia di isoenzimi
detossificanti che catalizzano la coniugazione di varie molecole tossiche
con il glutatione rendendole meno reattive e più facilmente eliminabili
dall’organismo. Tali enzimi sono codificati da geni polimorfici comprendente
5 classi: alpha, Pi, Mu, Theta e Zeta.
Glutatione S-transferasi P1 (GSTP1): polimorfismi I105V e A114V
Recentemente, due comune polimorfismi del gene GSTP1 sono stati associati ad
una consistente diminuizione dell’ attività dell’enzima. Uno di questi
polimorfismi, I105V, è caratterizzato da una singola sostituzione A>G a
livello del nucleotide 313 e determina a livello della proteina una
sostituzione aminoacidica alanina>valina in posizione 105; l’altro
polimorfismo, A114V, è caratterizzato da una singola sostituzione C>T a
livello del nucleotide 341 e determina a livello della proteina una
sostituzione aminoacidica isoleucina>valina in posizione 114. La variante
GSTP1 105Val ha una frequenza del 33% tra la popolazione Caucasica con un
14% di omozigoti.
Glutatione S-transferasi mu, M1 (GSTM1): delezione
del gene
Questo
polimorfismo, caratterizzato dalla delezione della maggior parte della
regione codificante del gene, determina una perdita di funzionalità
dell’enzima.
Glutatione S-transferasi theta, T1 (GSTT1):
delezione del gene
Questo
polimorfismo, caratterizzato dalla delezione della maggior parte della
regione codificante del gene, determina una perdita di funzionalità
dell’enzima. E’ stato inoltre associato con un aumentato rischio di tumore
ai polmoni, laringe, vescica, prostata e tumore della cervice uterina.
METABOLISMO OSSEO E OSTEOPOROSI
L'osteoporosi
rappresenta la più frequente malattia metabolica dello scheletro,
caratterizzata da una riduzione della massa ossea e da una alterazione della
microarchitettura cui consegue un aumento della fragilità e della
suscettibilità alle fratture.
Già da parecchio tempo è stata verificata una familiarità per l'osteoporosi,
tuttavia solo negli ultimi anni sono iniziati studi volti a identificare e
caratterizzare le componenti genetiche di tale malattia. Il picco di massa
ossea che si osserva tra i 20 e 30 anni di età è determinato in gran parte
da fattori genetici come pure la velocità con cui si riduce la massa ossea
in seguito alla menopausa o all'invecchiamento. Inoltre durante la vita si
possono accumulare fattori di rischio ambientali che possono risultare
determinanti per l'insorgere della malattia.
Dunque la patogenesi dell'osteoporosi è il risultato di complesse
interazioni fra predisposizione genetica e fattori di rischio ambientali. I
fattori genetici giocano un ruolo importante nella patogenesi
dell’osteoporosi e sono rappresentati dal pool di geni che regolano
l’espressione dei caratteri legati allo sviluppo della patologia (massa e
microarchitettura ossea). I fattori ambientali comprendono abitudini
alimentari (introito di calcio e vitamina D), consumo di alcool, tabacco e
caffè, attività fisica, assunzione di farmaci che interferiscono con il
metabolismo fosfo-calcico ed esercitano soprattutto un effetto selettivo
sulle caratteristiche genetiche dell’individuo. Infatti, nonostante siano
evidenti diverse influenze ambientali su determinazione e mantenimento della
densità minerale ossea (BMD), studi su gemelli e famiglie osteoporotiche
indicano che il contributo genetico alla patogenesi dell’osteoporosi è
responsabile del 75-85% della variabilità interindividuale della BMD.
Polimorfismi genetici associabili all'osteoporosi.
La caratterizzazione dei marcatori genetici legati all'ereditarietà di una
bassa densità minerale ossea potrebbe permettere di identificare
precocemente gli individui suscettibili a sviluppare osteoporosi. In questo
modo si potrebbe attivare una prevenzione mirata con terapie specifiche e
modifiche allo stile di vita, tali da ridurre al massimo il rischio
ambientale negli individui geneticamente predisposti a sviluppare la
malattia.
Dal 1995 ad oggi sono stati iniziati diversi studi atti ad identificare e
caratterizzare polimorfismi in diversi geni correlati al metabolismo osseo:
tali analisi hanno lo scopo di evidenziare correlazioni tra la presenza di
una determinata variante allelica e una situazione di ridotta densità di
massa ossea. Diversi polimorfismi sono stati sino ad ora identificati ed
analizzati: all'interno dei geni che codificano per il recettore della
vitamina D (VDR), Collagene IA1 (COLIA1), recettore della calcitonina (CTR)
e recettore degli estrogeni (ESR). I risultati ottenuti da questi studi
permettono di affermare che l'osteoporosi è una malattia poligenica, quindi
una determinazione più certa della predisposizione alla malattia richiede
l'analisi dei diversi polimorfismi.
Recettore della Vitamina D (VDR): polimorfismi Fok1, BsmI, e TaqI.
La Vitamina D promuove l’assorbimento intestinale e renale del calcio ed è
indispensabile per lo sviluppo ed il mantenimento della massa ossea. La
vitamina D è anche coinvolta nei processi di controllo della proliferazione
e della differenziazione cellulare, nonchè nella immuno-modulazione. Nel
sistema immunitario, ad esempio, la vitamina D promuove la differenziazione
dei monociti ed inibisce la proliferazione dei linfociti attraverso l’increzione
di citochine come IL-2 , l’IL12 e l’ interferon –γ. In alcuni tipi di
cellule di carcinoma, la vitamina D ha dimostrato un’attività
antiproliferativa.
Gli effetti della Vitamina D sono mediati dal suo recettore nucleare (VDR),
che forma un complesso eterodimerico con il recettore dell’acido retinoico
ed interagisce con i fattori di trascrizione. VDR (12q12-14) codifica per
una proteina di 427 aminoacidi (aa), che regola il trasporto e l’omeostasi
del calcio ed è stato proposto come il locus a maggior effetto genetico
sulla BMD negli studi di associazione. Sono presenti diversi siti
polimorfici nella regione 3’ del gene umano VDR identificati dalle
endonucleasi di restrizione TaqI e BsmI, ed un’altra variante polimorfica,
riconosciuta da FokI, a livello del presunto codone di inizio della
trascrizione nell’esone 2. Gli alleli vengono rispettivamente chiamati T-t,
B-b e F-f: le lettere minuscole identificano la presenza del sito di
restrizione e le lettere maiuscole indicano l’assenza di tale sito. Tali
polimorfismi possono condizionare la risposta a vari componenti dietetici
con possibili rischi di sviluppo di patologia.
È ormai ampiamente dimostrato un coinvolgimento funzionale degli alleli del
VDR nell’omeostasi del calcio e nella mineralizzazione dell’osso. Gli studi
iniziali hanno consentito di riscontrare l’interazione tra il gene del VDR,
l’assorbimento di calcio e i livelli di calcio nella dieta. Le variazioni
alleliche del gene VDR spiegano per il 70% gli effetti genetici sulla
densità ossea.
Il polimorfismo Fok1 consiste in una sostituzione nucleotidica T-C a livello
del codone di inizio della traduzione del gene VDR (ATG®ACG). Tale
polimorfismo determina la traslazione di tre aminoacidi dal sito d'inizio
della traduzione del gene con conseguente alterazione della relativa
proteina, mancante di tre aminoacidi. Il nucleotide T viene anche definito
allele f, mentre il nucleotide C viene definito allele F. La combinazioni di
questi alleli puo produrre i genotipi ff (TT), Ff (CT) e FF (CC). Il
genotipo FF (forma corta) provoca un aumento dell’attivazione della
trascrizione. Il genotipo ff è stato associato ad una bassa BMD lombare in
donne Ispano-Americane in età postmenopausale, Giapponesi, Nordamericane e
Italiane.
Anche i fattori ambientali, come l’assunzione di calcio giornaliero, possono
modulare gli effetti dei genotipi di FokI sulla BMD. I risultati ottenuti da
tutti questi studi di associazione mostrano come i polimorfismi di VDR da
soli non siano marcatori genetici utili per assegnare il rischio di
Osteoporosi, sebbene risultino molto utili per spiegare la variabilità della
BMD osservata nella popolazione.
Il polimorfismo BsmI, localizzato nell’introne 8 del gene VDR e consistente
in una variazione nucleotidica A-G, è associato invece alla variazione della
stabilità del trascritto e ad una diminuzione dei valore della BMD. Il
nucleotide A viene anche definito allele B, mentre il nucleotide G viene
definito allele b. La combinazioni di questi alleli puo produrre i genotipi
BB (AA), Bb (AG) e bb (GG).I valori di densità più elevati sono risultati a
carico dell’allele b, mentre il meno frequente allele B è risultato
associato con valori di BMD inferiori. Quindi il genotipo BB predisporrebbe
ad un basso livello di massa ossea. Inoltre, alcuni studi hanno dimostrato
che il genotipo BB predispone ad un ridotto assorbimento di calcio a livello
intestinale.
Il polimorfismo TaqI, localizzato nell’esone 9 del gene VDR, a livello del
codone 352, consiste in una variazione nucleotidica T-C. . Il nucleotide T
viene anche definito allele T, mentre il nucleotide C viene definito allele
t. La combinazioni di questi alleli puo produrre i genotipi TT (TT), Tt (TC)
e tt (CC).Tale polimorfismo è stato associato ad un aumento del turnover
delle cellule ossee con conseguente aumento del rischio di una ridotta BMD
ed osteoporosi.
Diverse altre patologie sono state correlate alla associazione con i
suddetti polimorfismi nel gene VDR, tali da poter influenzare l’espressione
o la funzione della proteina. In particolare, tali polimorfismi (Fok1, BsmI,
e TaqI), possono condizionare la risposta a vari componenti dietetici con
possibili rischi di sviluppo di patologia. In letteratura sono noti alcuni
lavori che correlano l’associazione del polimorfismo VDR Fok1 con il
genotipo FF, con il rischio di sviluppo del carcinoma del colon, in rapporto
all’apporto di calcio e grasso nell’alimentazione. In particolare, è stato
evidenziato come, sebbene il calcio o il grasso alimentari non correlano
normalmente con il rischio di sviluppo di carcinoma del colon nei soggetti
con genotipo FF, in quelli con genotipo a combinazione allelica multipla ff/Ff,
un diminuito apporto del calcio o del grasso nell’alimentazione aumenterebbe
tale rischio. Per individui con genotipo ff e dieta povera di grasso e
calcio, il rischio di sviluppo del carcinoma del colon era di circa 2.5
volte maggiore rispetto agli altri. Morrison et al. (1994) 367(6460):284-7.
Arai (1997) J Bone Miner Res 12, 915.
Collagene di tipo I (COLIA1): polimorfismo introne
1 2046G-T
Il collagene di
tipo I è il è il maggiore componente organico (90%) della matrice ossea. Nei
soggetti osteoporotici le catene collageniche sono normali, tuttavia è stato
identificato un polimorfismo nel sito regolatore del gene COLIA1 che sembra
essere più frequente rispetto ai controlli normali. Questo polimorfismo, che
si trova nel sito di legame per la trascrizione del fattore SP1 nel primo
introne del COLIA1, risulta associarsi non solo con la massa ossea ma anche
con le fratture osteoporotiche in diverse popolazioni caucasiche. Questo fa
sì che il COLIA1 acquisti particolare interesse, dal momento che
l’associazione con le fratture è più forte di quella tra genotipo e massa
ossea. È da sottolineare anche che questo polimorfismo è pressoché assente
nelle popolazioni dell’Asia e dell’Africa, dove peraltro più bassa è
l’incidenza di fratture osteoporotiche.
Diversi studi sul COLIA1 dimostrano che l’effetto genetico del COLIA1 è
fortemente associato con i valori di massa ossea ridotti e la relazione
appare più stretta a livello della colonna. In particolare l’allele T (s),
sia in eterozigosi G/T (Ss) che in omozigosi T/T (ss)appare più frequente
nei soggetti con osteoporosi grave associata alle fratture vertebrali.
Pertanto è stato suggerito che il COLIA1 possa predisporre alle fratture
influenzando altri determinanti del rischio fratturativo come la qualità
dell’osso o la geometria dello scheletro. Non è da escludere che i soggetti
più a rischio con genotipo ss abbiano un’alterata produzione di collageno
con conseguente riduzione del picco di massa ossea e probabilmente dello
spessore delle trabecole. L’ipotesi che il genotipo ss si associ a
un’alterata produzione del collageno risulta peraltro in accordo con
precedenti dati istomorfometrici secondo i quali i soggetti con fratture
vertebrali hanno una ridotta capacità di formazione ossea. Grant (1996) Nat
Genet 14, 203
Recettore della calcitonina (CTR): polimorfismo
PRO463LEU
Un altro gene più
recentemente studiato nell’osteoporosi è quello del recettore della
calcitonina (CTR). La calcitonina è un ormone implicato nel riassorbimento
dell’osso e agisce attraverso specifici recettori presenti in largo numero
sugli osteoclasti. E’ stato identificato un polimorfismo del gene del CTR
consistente in una variazione nucleotidica C-T a livello del codone 463
(PRO463LEU). Tale mutazione è stata associata, in condizioni di omozigosi
(genotipo TT, 463LEU) a riduzione della massa ossea. Masi (1998) Biochem
Biophys Res Commun 248, 190
Recettore Estrogenico 1 (ESR1): polimorfismi PvuII (IVS1-397 T/C) e XbaI
(IVS1-351 A/G)
Gli estrogeni sono indispensabili per l’acquisizione del picco di massa
ossea in entrambi i sessi e per il suo mantenimento negli adulti. Condizioni
patologiche associate ad un deficit prematuro degli estrogeni accelerano la
perdita della massa ossea. Il deficit estrogenico è la causa principale
d’Osteoporosi postmenopausale e gioca un ruolo importante anche
nell’Osteoporosi senile, causando in entrambi i casi una maggiore incidenza
di fratture dovute alla fragilità delle ossa. Le due isoforme del recettore
estrogenico (ER-beta e ER-alpha) sono codificate da due geni diversi (ESR2 e
ESR1) con distribuzione tessuto specifica e hanno capacità diverse nel
legare il ligando (estrogeni ed antiestrogeni) e nell’attivazione della
trascrizione dei geni bersaglio. Diverse osservazioni mostrano il
coinvolgimento di questi recettori nella determinazione della BMD in
entrambi i sessi. Nel gene ESR1 (6q25) sono stati descritti diversi
polimorfismi, ma tutti gli studi di associazione si focalizzano su 2 di
essi, localizzati a livello delll’introne 1 (riconosciuti da PvuII e XbaI e
chiamati rispettivamente P-p e X-x, in base alla presenza o assenza del sito
di restrizione).
Il polimorfismo PvuII è localizzato nell’introne 1 del gene ESR1 e consiste
in una variazione nucleotidica T/C in posizione -397. Il nucleotide T viene
anche definito allele p, mentre il nucleotide C viene definito allele P. La
combinazioni di questi alleli puo produrre i genotipi pp (TT), Pp (CT) e PP
(CC). Il genotipo PP è associato ad una disfunzione recettoriale con ridotta
risposta agli estrogeni endogeni, una BMD più bassa ed un maggiore rischio
di Osteoporosi.
Il polimorfismo XbaI è localizzato nell’introne 1 del gene ESR1 e consiste
in una variazione nucleotidica A/G in posizione -351. Il nucleotide A viene
anche definito allele x, mentre il nucleotide G viene definito allele X. La
combinazioni di questi alleli puo produrre i genotipi xx (AA), Xx (GA) e XX
(GG). E’ stata riscontrata un’associazione tra il genotipo XX un maggiore
rischio di frattura attraverso un meccanismo BMD-indipendente.
Intolleranza al latte
L'intolleranza allo zucchero del latte, il
lattosio, sebbene identificata dai medici solo nel 1960, è probabilmente
l'intolleranza alimentare più diffusa al mondo e non è da confondersi con
l'allergia al latte, che invece deriva da una reazione del sistema
immunitario alle proteine in esso contenute.
I sintomi
Ci sono diversi gradi di intolleranza al
lattosio che vanno da pressoché totale a molto moderata, dipende da caso a
caso. In genere comunque da trenta minuti a due ore dall'ingestione di latte
o derivati si comincia ad avvertire nausea, senso di gonfiore, crampi,
meteorismo, disturbi intestinali e, a volte, il tutto è accompagnato da rash
cutanei, e va avanti per ore o addirittura giorni nei casi di intolleranza
più acuta. Spesso, anche se l'intolleranza è già presente, i sintomi restano
nascosti per anni e si manifestano all'improvviso nell'età adulta.
Le cause
L'intolleranza
al lattosio è in genere dovuta alla mancanza di un enzima, la lattasi,
prodotta dalle cellule del primo tratto dell'intestino. In questo caso si
parla di deficienza primaria, ed è ereditaria, cioè trasmessa
dai genitori ai figli. Possono esserci però casi (ad esempio morbo di Crohn,
celiachia, infiammazioni e infezioni dell'intestino) in cui danni
all'intestino uccidono le cellule che producono la lattasi ed in questo caso
si può avere un'intolleranza secondaria (acquisita).
Il lattosio è uno zucchero (dolce circa un
terzo del normale zucchero di cucina) contenuto nel latte ed in tutti i suoi
derivati, ed è composto da due particelle più piccole, il glucosio ed il
galattosio. L'intestino non può assorbire il lattosio così com'è, ma deve
prima spezzarlo nei suoi due componenti base e questo compito è assolto
dalla lattasi. In assenza dell'enzima, il lattosio resta indigerito
nell'intestino ed è attaccato da batteri e altri microrganismi, i quali lo
fermentano producendo scorie che causano i sintomi, come la nausea o i gas
(metano, idrogeno).
L'origine
Tutti
i bambini fino a due anni di età circa producono la lattasi per poter
assimilare il latte materno. Poi, con lo svezzamento, nelle persone
intolleranti l'enzima non viene più prodotto, o viene prodotto in quantità
via via sempre più limitate fino all'età adulta. Esiste tuttavia una
distribuzione particolare nell'intolleranza al lattosio tra le varie
popolazioni del mondo, dal momento che sembra che alcuni gruppi etnici siano
più affetti di altri: in uno studio svolto in America, è risultato che fino
all'80% dei neri americani di origine africana non producono lattasi, così
come gli indiani americani, intolleranti per l'80-100% dei casi, e il
90-100% degli asiatici americani, mentre questa condizione è molto meno
frequente tra i discendenti dei nord europei.
In Italia, uno studio ha dimostrato che il
51% dei settentrionali (con i nonni provenienti da Piemonte, Lombardia e
Veneto) ed il 71% dei Siciliani manca del gene per la lattasi (anche se a
volte non ne sono consapevoli in quanto non manifestano i sintomi),
ricalcando un gradiente Nord-Sud comune a tutta l'Europa. Altri studi,
tuttavia, sembrerebbero mostrare che queste percentuali sono molto più
basse.
Intolleranza
primaria al lattosio (Primary Lactose Intolerance PLI)
La PLI è riconducibile ad un polimorfismo
nella posizione -13910 della regione regolatrice del gene della
lattasi, che nell’omozigosi porta ad una carenza di lattasi nei microvilli
dell’intestino tenue. La trasmissione ereditaria è autosomica recessiva,
solo i portatori omozigoti sono dunque affetti dalla PLI. Con una
probabilità > 95% i portatori omozigoti sviluppano una carenza di lattasi
manifesta ai sensi di un test H2 patologico. Nell’Europa la
frequenza dei portatori omozigoti ammonta a ca. il 15%. Un ulteriore 45%
sono portatori eterozigoti di una mutazione, tuttavia non colpiti dalla PLI.
Nei soggetti colpiti la quantità di lattasi
richiesta diminuisce continuamente fino al 20° anno di età subentrando
quindi i sintomi della malattia.
Sintomi: pesantezza di stomaco, flatulenza,
dolori addominali, coliche, diarrea, nausea e vomito dopo l’assunzione di
latticini, di altri prodotti contenenti lattosio e di medicinali. In casi
severi si possono susseguire ulteriori sintomi quali sintomi carenziali,
alterazioni cutanee e stati di umore depresso. In età avanzata i sintomi
possono peggiorare.
Genotipizzazione
Il metodo con test genetico evidenzia la
presenza del polimorfismo -13910 T/C del gene della lattasi (LCT) e
pertanto la predisposizione alla PLI.
Genotipo |
Incidenza |
Interpretazione |
-13910 TT |
ca. 40% |
nessun segno di PLI |
-13910 TC |
ca. 45% |
nessun segno di PLI, portatore |
-13910 CC |
ca. 15% |
predisposizione genetica per PLI (Europa) |
Enattah (2002) Nat Genet 30, 233
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